Shiva, una delle più importanti divinità indiane

shiva

Shiva, essere divino appartenente alla famosa trimurti (triade divina) insieme a Brahma e a Vishnu, è forse tra le più venerate divinità della spiritualità induista.

Shiva possiede numerosi aspetti che esprimono contemporaneamente qualità positive o terribili e, a seconda dei casi, assume di volta in volta nomi differenti.

In qualità di ‘signore del tempo’, Shiva governa la continua alternanza dei processi di creazione, distruzione e ricostruzione, la cui cadenza è ritmata dalla sua stessa danza cosmica, ed è adorato sia come una divinità estremamente potente sia come il sommo distruttore, ma anche in quanto divino e mistico.

Accanto a lui compare spesso la divinità femminile che incarna il simbolo dell’energia vitale, la ‘shakti’, che, esattamente come Shiva, incarna diversi aspetti per i quali è definita con i termini Uma, Parvati, Kali, Durga ed altri ancora. La pluralità delle emanazioni di Shiva è evidenziata da specifiche immagini iconografiche che lo mostrano in una forma per metà maschile e per metà femminile, oppure con un corpo sul quale figurano tre teste.

Shiva: divinità potente e incredibile tra spiritualità e sensualità

La spiritualità indù contempla molte divinità, che ricoprono ruoli importanti nell’espressione della sua particolare cosmogonia. Shiva è uno di questi esseri divini e riveste un ruolo fondamentale: è la divinità induista che esprime in modo armonico le contrapposizioni presenti nella spiritualità di questa religione e che oscillano tra l’ascesi mistica e la sensualità carnale, insieme a Brahma e Vishnu, gli altri componenti della triade divina.

Secondo la cultura induista, Brahma è l’essere supremo definito ‘creatore’, Vishnu è colui che ‘tutela a preserva’ mentre Shiva è descritto come il ‘distruttore’ per definizione. La funzione di Shiva è quella di dissolvere totalmente tutti i mondi che sono stati creati, una volta che la creazione è stata completata. Il processo distruttivo di Shiva, però, non ha connotazioni negative bensì estremamente positive in quanto si tratta di un passaggio costruttivo che rinnova e trasmuta l’energia e la vita per la prosperità del mondo e delle creature che lo abitano.

La distruzione di Shiva è orientata a permettere la rigenerazione, il rinnovamento di ogni forma di vita così da agevolare la trasmutazione, lo sviluppo o le trasformazioni del mondo della natura. Si tratta di un tipo di distruzione creativo che porta nuova linfa e rinnovate possibilità di espressione. È proprio grazie a questo tipo di cambiamento che è possibile rendere agevole e naturale il passaggio da uno stadio alla sua naturale nuova forma e ciò è valido sia per le cose che per le situazioni.

Il fatto che Shiva sia il ‘distruttore’ del cosmo al termine di qualunque ciclo, condizione indispensabile per consentire la successiva fase di creazione, lo porta ad essere definito il ‘grande asceta’, che rinuncia ad adottare qualunque tipo di debolezza e appagamento per dedicarsi invece alla meditazione come strumento per raggiungere la perfezione e la felicità suprema.

Shiva, inoltre, è lodato anche per il suo essere mistico e per la sua virtù di castità. Considerato il patrono dei bramini e degli yogi, è inoltre colui che protegge tutti i testi sacri e in particolare i Veda. Sommo adepto della disciplina dello Yoga, incarna il prototipo del completo dominio sui sensi, esempio per ogni asceta errante. In lingua sanscrita Shiva si può tradurre con ‘buono, caritatevole’, ‘positivo, felice’, di ‘buon augurio’ e i suoi devoti, gli ‘shivaiti’ lo venerano come il dio supremo.

Le caratteristiche misteriose e complesse della sua personalità si esprimono al meglio in tutte le 1008 definizioni che gli sono state attribuite e nella molteplicità delle immagini nate dall’ispirazione originata dagli articolati racconti mitologici intrecciati attorno alla sua figura.

Shiva è noto con molti altri nomi: Śiva, Śiwa, Shankara (‘Propizio’), Shambhu (‘Benefattore’), Ntaraja (‘Signore della danza’), Mahesha (‘Grande Signore’), Sadashiva (‘Shiva eterno’), Mahadeva (‘Grande Dio’), Pashupati (‘Signore delle anime’), Ishana (‘il Sovrano’), Vishvanatha (‘Signore dell’Universo’), Gangadhara (‘Portatore della Ganga’) e ancora molte altre definizioni.

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La genesi di Shiva

Della nascita di Shiva si trovano numerose tracce nei vari racconti tramandati dalle leggende. Si narra, infatti, che Brahma e Vishnu stessero dibattendo per stabilire chi fosse il dio più potente quando, all’improvviso, comparve una colonna di fuoco che abbracciava contemporaneamente la parte più lontana di cielo e terra. A quel punto Brahma prese le sembianze di un’oca e, volando, raggiunse la parte superiore della colonna cercandone la cima senza però riuscire a trovarla. Vishnu, invece, assunse la forma di un cinghiale e prese a scavare un cunicolo che correva sotto terra, da una parte all’altra, per cercare le radici della colonna, senza esito. Così, nessuno dei due, riuscì nel proprio intento e tornarono al punto di partenza: fu allora che videro apparire Shiva proprio nel centro della colonna ardente. In quell’istante compresero che Shiva era dotato di enorme potere e, a pieno titolo, insieme a loro era il sommo re dell’universo.

La narrazione sulle origini di Shiva è senza dubbio molto lontana nel tempo al punto che se ne fa menzione già nei racconti legati alla civiltà dell’Indo. Già nel Rigveda Shiva è presente come denominazione portafortuna di Rudra, dio della tempesta, dal momento che, pur essendo messaggero di distruzione, portava con sé anche la pioggia garantendo così l’abbondanza alla popolazione grazie alla crescita dei futuri raccolti. Questa doppia identificazione andò a formare il nome Rudra-Shiva, acquisendo una sua propria identità nel II secolo a. C. Da quel momento in poi, Shiva fu poi venerato come divinità unica, distinta.

Le immagini antropomorfe di Shiva

In base alla tradizione culturale dell’induismo, Shiva viene raffigurato in diverse forme: sereno accanto al figlio Skanda e alla sua compagna Parvati (che significa ‘appartiene al monte’ poiché Parvati è figlia della catena montuosa dell’Himalaya e madre di Skanda, dio della guerra), oppure nella veste di Nataraja, il danzatore cosmico, o ancora come un mendicante, o come mistico errante nudo, come dalit (gli appartenenti alla casta una volta definiti degli ‘intoccabili’) con il suo fedele cane Bhairava, come yogi o, ancora, come Ardhanarishvara, la forma androgina dell’unione con Parvati che dà luogo ad un corpo con sembianze per metà maschili e metà femminili.

Shiva viene considerato anche come il grande mistico, governatore della fertilità e gestore sia della cura che del veleno, tramite il suo doppio dominio sui due serpenti. Quando assume il ruolo di dio degli armenti prende il nome di Pashupati, un bonario pastore, nonostante qualche volta venga associato al crudele sterminio degli animali, considerati come ‘anime umane’ che gli sono state affidate. Nonostante queste forme duali abbiano radici nella tradizione cosmologica dell’induismo, possiamo associare queste raffigurazioni all’inclinazione della cultura indù verso l’osservazione degli aspetti complementari presenti nella singola forma indefinibile.

Spesso la coppia Shiva-Shakti (una delle manifestazioni della consorte del dio) rappresenta la personificazione del potere. La leggenda dice che gli sposi divini, con i loro due figli Skanda e Ganesha (quest’ultimo è il dio raffigurato con la testa di un elefante), abitino sulle cime del Monte Kailash sulla catena dell’Himalaya. Skanda, dio a sei teste, sarebbe nato dal seme di Shiva gettato nella bocca di Agni, dio del fuoco per poi essere traslato in primo momento nel sacro fiume Gange e in seguito nelle sei stelle della costellazione delle Pleiadi. Un’altra leggenda mitologica afferma che Ganesha nacque dallo sporco fuoriuscito dal bagno sacro che Parvati gli aveva fatto, ottenendo la testa di elefante proprio da Shiva, il quale aveva decretato la sua decapitazione.

Shiva si muove nel mondo tramite il toro Nandi, il suo vahana (veicolo, cavalcatura), e una scultura di questo toro è spesso presente all’ingresso di moltissimi santuari dedicati al dio.

In genere Shiva viene rappresentato, sia nella pittura come nella scultura, con l’aspetto bianco del vibhuti (la cenere sacra dei cadaveri utilizzata nei rituali, che viene spalmata sul corpo), con il collo di colore blu (dovuto al trattenere il veleno originato dalle onde dell’oceano cosmico, un pericolo che poteva distruggere il mondo), con i capelli acconciati in modo fittamente intrecciato (jata o jatamakuta) che rappresentano il ‘non attaccamento’, lo stato di ascetismo raggiunto da Shiva e sui quali compare la mezzaluna (icona del tempo) su cui scorre un filo d’acqua, icona del Ganga. Narra la leggenda, infatti, che è il dio ad aver traslato il fiume Gange dal cielo (dove è rappresentato con la Via Lattea) alla terra, consentendo al fiume di scorrere tramite i suoi capelli, frammentando in questo modo la sua caduta.

In alcuni casi Shiva viene rappresentato anche con tre occhi, dove il terzo è posizionato verticalmente nel mezzo della fronte ad indicare il sole, mentre gli altri due raffigurano la luna e il fuoco distruttivo e la saggezza. La sua immagine è ornata con due orecchini: al lobo destro ne indossa uno a forma di ‘makara’ (creatura mitologica) e all’orecchio sinistro ne indossa un altro di forma circolare forato al centro che raffigura la consorte Devi, la quale si trasforma ogniqualvolta Shiva muta di aspetto.

In genere Shiva viene raffigurato vestito di bianco con una pelle di tigre avvolta ai fianchi e la pelle del demone Gajasura posizionata su una spalla. Porta anche il ‘cordone sacro’, e il corpo si presenta guarnito con serpenti i quali rappresentano il legame con il mondo. A rafforzare la sua immagine terribile, connessa con la distruzione, Shiva indossa una collana di teschi o di bacche rudrakshamala, simbolo di protezione dal peccato e dalla negatività.

Nell’iconografia sacra Shiva è rappresentato con alcuni simboli importanti, tenuti saldamente nelle quattro o otto mani: il tridente trishula, il tamburello a foggia di clessidra (damaru), la conchiglia, il loto, la pelle di daino (o antilope mriga), il bastone o ascia sormontato da un teschio (parashu).

L’oggetto a forma di cranio (o teschio a forma di ciotola) assimila Shiva all’immagine del Kapalika, o ‘portatore di teschi’, e fa riferimento al tempo in cui staccò la quinta testa di Brahma. Narra la leggenda che la testa recisa si fissò alla mano del dio fino al momento in cui arrivò a Varanasi, una delle città consacrate a questa divinità. La testa si staccò autonomamente in un punto preciso dove poi fu costruito il santuario di Kapala-mochana (liberazione del teschio), dedicato alla purificazione di ogni peccato.

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Shiva e l’immagine del linga

Nell’iconografia della spiritualità indù uno dei simboli collegati a Shiva è il linga (o lingam/lingham). Si tratta di un oggetto a forma di fallo, icona della fertilità ed energia cosmica, che compare in molti templi o santuari dedicati al dio, in genere posizionato su un piatto che raffigura la yoni (simbolo dei genitali femminili).

In seguito alla morte di Sarti, nel periodo antecedente la sua reincarnazione, Shiva abbracciò il lutto e si ritirò nella foresta di Daru presso la comunità dei guru e degli yogi. Accadde però che le consorti dei mistici della comunità cominciassero a provare interesse per Shiva. I guru, dunque, mossi dalla gelosia, scagliarono una enorme antilope e poi una tigre gigantesca contro il dio ma lui combatté entrambi gli animali e dopo averli sconfitti indossò, da quel momento in poi, la pelle della tigre. A seguito di ciò i guru lanciarono una maledizione sulla virilità di Shiva, che provocò la caduta del fallo. Nel momento in cui quest’ultimo rovinò a terra, cominciarono dei terribili terremoti che terrorizzarono gli yogi i quali chiesero umilmente perdono. Nella sua magnanimità il dio li perdonò ma impose loro di venerare il fallo in qualità di Linga, ovvero la sua trasposizione simbolica. Si hanno ritrovamenti di minuscole figure falliche, simbolo dell’energia cosmica, già nelle tracce della civiltà Harappa, datata tra il 3000 e il 1700 a.C. e ciò sta a significare le antiche origini di questo mito.

La spiritualità profonda della religione induista, con tutte le sue radicali ambivalenze, è un grande esempio di accoglienza e integrazione degli opposti aspetti dell’espressione della vita. La narrazione delle origini del dio Shiva ne è un esempio e costituisce un pilastro fondamentale per la comprensione della cultura e delle tradizioni di una delle più antiche e affascinanti civiltà del mondo.

1 comment
  1. Odelli Antonesca Reply at 11:24

    OM NAMAH SHIVAYA

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