Atman e Brahman, dalla coscienza individuale alla coscienza universale

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Atman e Brahman

È noto che il cardine fondamentale dei concetti filosofici contenuti nell’induismo sia la connessione tra Atman, cioè l’identità del Sé individuale, e Brahman, ovvero il Sé Universale. Per capire questa profonda interconnessione occorre però cogliere il significato dei due aspetti così come ci vengono tramandati dall’induismo, ed è proprio ciò che faremo in questo articolo, affrontando i significati di Atman e Brahman sia singolarmente sia nella loro importante relazione.

Partiamo dall’Atman: l’Induismo afferma che ogni essere vivente custodisce al proprio interno, nel luogo più recondito della propria anima, una particella dello spirito universale, la quale è composta della sua stessa sostanza poiché entrambe sono la manifestazione di un’unità divina. È questa “sacra scintilla” che dà vita alla coscienza e mantiene il legame con lo Spirito Universale in cui ogni realtà individuale si fonde, trascendendo l’illusione della realtà terrena.

Tale concetto è mirabilmente espresso in un passo delle Upanishad:

“Quella luce nel cielo che splende al di sopra di noi, che brilla al di là di tutto, al di là dell’universo, nei mondi superiori e oltre ai quali non vi è più nulla, questa luce è quella stessa luce che risplende dentro di noi”. Chandogya Upanishad (III, 13, 7).

Non dobbiamo confondere, quindi, il termine Atman con l’idea di “anima” presente nel concetto cristiano. Infatti l’induismo non dice che l’Atman, custodito in ciascun essere vivente, sia qualcosa di inscindibilmente collegato alla persona a cui è attribuito. La tradizione rifiuta l’idea che l’Atman sia creato con la nascita dell’individuo: l’Atman è l’essenza dell’Essere, esiste da sempre, non può nascere dal nulla poiché ciò indicherebbe che in precedenza non esisteva.

La stessa Bhagavad Gita lo afferma chiaramente in un passo:

“Lo Spirito che è dentro di noi mai nasce né muore; non è stato, non sarà di nuovo. Esso, che è innato, necessario, eterno, primordiale, non muore quando muore il corpo (Bhagavad Gita II, 20).

Gli insegnamenti indù parlano di questo Spirito come di un “Essere Supremo”. L’essenza universale che prende il nome di “Brahman” può considerarsi come la sola entità reale, l’unica esistente, poiché la realtà materiale che l’uomo sperimenta quotidianamente è temporanea, precaria, variabile e tutto quello che è mutabile non viene valutato come vero e concreto. Questo è il motivo per cui l’induismo afferma che la realtà per come la conosciamo è solo una grande illusione (Maya).

La naturale conseguenza di tali affermazioni, indipendentemente dal credo religioso di ciascuno, è quella di perseguire la ricerca del Brahman, di svilupparne la percezione al nostro interno, al fine di farne piena esperienza. La massima ambizione dei fedeli indù, il loro desiderio più profondo, è diventare consapevoli del Brahman, della presenza di Dio in sé stessi.

Da Atman a Brahman, il processo di liberazione

Il fine ultimo di questo profondo desiderio è l’affrancarsi dalla ruota delle rinascite (Samsara) attraverso la Moksha (la “liberazione dall’ego”). La religione induista propone alcune precise modalità per ottenere la liberazione dalla ruota delle rinascite. Si tratta di strumenti specifici che possono essere diversi a seconda del tempo storico, dell’ambiente in cui vive la persona o delle circostanze, ma la meditazione risulta una componente imprescindibile di questo percorso di risveglio.

La consapevolezza come percorso dell’Atman verso Brahman

In base agli insegnamenti si dice che chi ritiene le buone azioni, i rituali, i sacrifici e l’applicazione nello studio dei testi sacri costituiscano il percorso giusto per liberarsi, in realtà cadrà nella pena della rinascita, mentre chi si consacra alla meditazione (ascesi) e abbandona aspirazioni, desideri e qualunque tipo di passione, sarà premiato con il raggiungimento del sommo Brahman.

Dunque, l’esercizio della consapevolezza nell’induismo richiama, sostanzialmente, l’esperienza interiore del concetto di “trascendente” guadagnata praticando la meditazione, l’elevazione interiore senza restare legati a rituali, dogmi, invocazioni, preghiere o convinzioni religiose, tutte pratiche che risultano essere caratteristiche di una fase tra le più arretrate sul percorso spirituale.

Le 11 porte e il terzo occhio

L’individuo viene descritto come la “fortezza dalle 11 porte”, aperture che sono totalmente orientate all’esterno e che si affacciano sull’aspetto materiale della realtà instabile e menzognero.

Gli insegnamenti ci dicono che per l’uomo è necessario chiudere queste porte per liberarsi dall’inganno e dal desiderio. Una volta affrancato da questi stimoli artificiosi, quando si sarà liberato dai dettami dell’ego, potrà approdare alla visione superiore tramite il “terzo occhio”, veicolo di saggezza, collocato sulla fronte, diretto verso il nostro interno e non verso la realtà esterna.

Non appena l’uomo sperimenta l’essenza divina universale, vede decadere il suo desiderio di appoggiarsi ancora alle illusioni e la dualità presente fino a quel momento nella sua vita e, la sua indole si scioglie lasciando il posto alla sorgente unica e piena della gioia riscattandolo dalla morte.

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Atman e Brahman: il significato profondo dell’essenza divina in ogni essere

Potremmo immaginare, quindi, l’Atman come una “goccia” dello Spirito Universale infusa nell’essere individuale, che l’accoglie e la conserva fino al momento di riunirsi e fondersi con la Fonte Originaria del Brahman, dopo avere conquistato la piena consapevolezza liberandosi dal velo dell’illusione che lo tiene prigioniero e schiavo della sua esistenza terrena.

Secondo la letteratura Vedica, infatti, l’unione tra coscienza individuale e coscienza universale è chiaramente espresso dalla frase “Atman è Brahman”.

L’Atman, quindi, rappresenta in genere la coscienza o spirito dell’individuo e viene attribuito all’essenza racchiusa in ogni essere in vita, determinando il suo grado di consapevolezza e descrivendo la sua forza vitale.

L’essere umano, gli animali, le piante possiedono un “atman” che rappresenta la loro sostanza immortale.

Con il concetto di Brahman viene descritta invece l’Entità Cosmica, l’Anima Universale. Si tratta dell’entità senza tempo ed eterna dell’universo, la realtà unica nella sua accezione divina. Rappresenta la fonte della vita e di tutto ciò che esiste. È l’origine del tutto.

Il vincolo tra coscienza individuale e coscienza universale

L’affermazione “Atman è Brahman” contiene al suo interno un insegnamento fondamentale: ci dice che la sostanza, la matrice della coscienza individuale non è diversa da quella della coscienza universale, l’energia che muove l’intero universo.

Tutto è interconnesso e non vi è alcuna differenza tra piante, animali, esseri umani ed è in ultima analisi la coscienza divina a creare la realtà. Il Brahman, infatti, è l’energia universale che ha dato vita all’universo stesso. Ciascuno di noi è opera di Brahman e quindi, nel nostro intimo, custodiamo una stilla di essenza divina del Brahman, ovvero l’Atman.

La nostra natura più profonda è quindi divina, poiché non esiste nessuna separazione tra ciò che è creato e il Creatore. La creazione stessa accoglie in sé tutte le caratteristiche e gli attributi della forza divina che l’ha definita. Dunque, l’essere umano contiene in sé la scintilla divina e possiede per questo la medesima capacità di creare del Brahman.

Dal momento che l’essere umano è parimenti creatore e non uno spettatore passivo soggetto alle decisioni di una entità superna, ne deriva che ciascuno di noi ha la possibilità di esprimere un grande potere. Questo potere è la capacità di plasmare la nostra esistenza e le nostre esperienze quotidiane formulando pensieri, agendo e articolando la nostra parola, compiendo azioni. Ecco che Atman e Brahman ci ricordano che siamo i veri attori principali della nostra vita e non automi sotto il controllo della volontà altrui, e ci richiamano alla piena responsabilità di quanto accade nelle nostre vite.

Il concetto della non violenza espresso da “Atman è Brahman”

La definizione “Atman è Brahman” può essere nello stesso tempo considerata affine al concetto di non-violenza e alla pratica del vegetarianismo tipico della cultura Hindù. Poiché ogni essere vivente è sacro e rappresenta l’essenza divina, deve essere difeso e rispettato.

L’idea della non-violenza basa il suo assunto su una visione globale e olistica del mondo e della realtà stessa. Dal momento che ogni essere vivente è una derivazione di Brahman, la conseguenza è che ciascuno di essi è strettamente connesso all’altro. Tutto ciò che compiamo contro il pianeta, contro un animale o un altro individuo, è come se lo rivolgessimo contro noi stessi.

Atman, l’essenza del sé universale

La parola Atman compare per la prima volta nel gveda, la più antica raccolta degli scritti vedici (datata XX-XV secolo a.C.) in cui si afferma che l’essenza, il soffio vitale, di ogni cosa è identificabile nel Sole (Sūrya).

Atman è pura essenza, esistenza nella sua forma più elevata e autentica consapevolezza. Atman, dunque, è l’Essenza Suprema che ha sede nel cuore di ogni essere vivente. Brahman è paragonabile all’Assoluto, il Sé Universale, mentre Atman è il Sé individuale, ma tra loro non vi è differenza alcuna poiché sono due modi diversi di osservare la medesima, identica realtà che si esprime sia nell’universo che nel singolo individuo.

La sapienza millenaria indiana ci spiega che tutte le nostre inquietudini, i disagi, le afflizioni, l’insoddisfazione, il dolore e il malessere che proviamo all’interno del nostro ambiente sono causati dall’aver smarrito, da parte dell’uomo, il contatto con la propria anima. Il motivo di questa sofferenza è che abbiamo perso l’obiettivo della nostra vita, ovvero che lo scopo primario per cui siamo qui è quello di ricordare che siamo intrisi della stessa natura divina di ciò che viene chiamato Atman o Brahman, l’Essenza Suprema che vive nell’universo e nel nostro cuore. Il nostro Sé esiste da sempre, può essere definito “esistenza, consapevolezza e gioia assoluta”.

L’esperienza terrena come percorso evolutivo dell’Atman

È coltivando questa natura divina che potremo evolvere e giungere a fare esperienza diretta di quella beatitudine e gioia incessante presente nell’universo. Per potersi evolvere e trasformare, l’individuo deve confrontarsi con i contrasti che si trova a fronteggiare nel corso dell’esistenza. Queste dinamiche sono il motore che facilita le crisi e che permette la crescita spirituale. In assenza di problemi, di ostacoli, di conflitti l’uomo non potrebbe rettificare sé stesso e progredire nel percorso di evoluzione spirituale. Non si tratta di combattere questi aspetti negativi dell’esistenza ma di imparare ad accettarli pur restando in uno stato di equilibrio e armonia.

Coltivare pace e purezza per agevolare il percorso spirituale

Riuscire ad entrare in contatto con il proprio Sé profondo non è certo cosa facile per l’uomo. L’importanza di coltivare il sentimento di pace dentro di sé unitamente alla capacità di accogliere la luce divina sono i presupposti indispensabili della meditazione. Il percorso verso l’illuminazione prevede di mantenere il corpo, l’energia interna e la mente il più possibile sani, integri e vitali; questi, infatti, sono i presupposti indispensabili per il perseguimento dell’elevazione spirituale. Per questo nella spiritualità indiana, la disciplina dello Yoga ci fornisce gli strumenti per aiutarci nella realizzazione del Sé mentre le regole dell’Ayurveda ci indicano la corretta gestione di corpo e mente con il fine di mantenere questi due componenti essenziali della dimensione umana in uno stato di massima funzionalità nell’ottica di agevolare il percorso spirituale.

Brahman, la Verità Assoluta

Per cercare di comprendere al meglio il concetto di Braham dobbiamo fare un passo in più, vista la sua accezione “universale”. Cominciamo con l’esaminare il termine sanscrito Brahman, nelle sue diverse accezioni:

  • nel suo valore come nome “maschile”, brahmān determina nei Veda un officiante del sacrificio vedico capace di pronunciare i mantra attinenti alla consapevolezza ispirata;
  • nel suo valore “neutro”, brāhman indica, nelle note agli scritti vedici denominati Brāhmaa, la facoltà che ispira i celebratori ṛṣi incaricati alla trasmissione orale del sapere cosmico;
  • indica la prima delle quattro caste (vara), la voce brahmano;
  • nei testi vedici scritti in prosa e nelle note ai Veda, la voce Brāhmaa;
  • nelle argomentazioni teologiche e filosofiche attinenti alle Upaniad vediche con il termine Brahman (nella sua forma “neutra”) si indica l’Unità Cosmica da cui tutto procede, ed è questo il significato più diffuso del termine;
  • nell’Induismo con Brahman si indica anche Brahmā, il “deva creatore”.

Brahman e Dharma

Rimanendo nell’ottica “universale” del Brahman, è portante anche aggiungere che la totalità dell’esistenza, definita “Dharma Supremo”, è l’insieme di ogni dharma (Compito, Dovere, Legge Cosmica) presente nel creato.

L’universo è retto da una regola celeste che si fonda sul concetto di “verità pura e universale”, una realtà costante, eterna e incommensurabile che prende il nome di Brahman (‘Infinito”) e che comprende il tutto, un concetto che esprime perfettamente l’idea di “dharma”. Il nucleo dell’esistenza, che sia manifesto o no, dimora nello spirito e il Brahman ne è l’espressione. Ogni essere vivente è originato dal Brahman, quindi tutti ne facciamo parte e, quando abbandoneremo il corpo fisico faremo ritorno alla “sorgente”. Sarà in questo istante che potremo fare esperienza dell’unione perfetta e conosceremo l’essenza della “verità”, quando saremo “uno” con l’Unità sacra dell’Essere Universale, al di là delle sue numerose manifestazioni nella realtà del mondo.

L’Unità come “ricongiungimento” di Atman e Brahman

L’intrinseca connessione tra Atman e Brahman dunque, esprime ancora una volta il mistero e la perfezione dell’Unità: Atman o Sé universale è un puro soggetto e al tempo stesso è espressione dell’Eterna Realtà, il Brahman.

Come sempre, esiste una connessione sottile che lega diverse culture nella ricerca sull’immanente.

Possiamo affiancare, volendo, il concetto di “Atman è Brahman” all’affermazione greca “conosci te stesso”. L’uomo, di per sé vittima della propria ignoranza, confonde la Realtà Vera ed Eterna nel suo concetto più alto (il Brahman) con il mondo materiale, con la realtà terrena in cui crede di essere immerso. Ma la Realtà Suprema non è nascosta, è accessibile a tutti coloro che hanno occhi per vedere e il percorso di rettificazione dell’uomo ha lo scopo di togliere il velo di Maya per poter scorgere la Luce Divina.

viaggio alla scoperta del sè

In India promuoviamo diversi viaggi, meglio definiti come “percorsi consapevoli”, dove si cerca di favorire l’incontro con il proprio Sè attraverso esperienze che stimoleranno questi processi interiori.

4 comments
  1. andrea Reply at 14:36

    ciao, nell’ articolo si dice che : “In base agli insegnamenti si dice che chi ritiene le buone azioni, i rituali, i sacrifici e l’applicazione nello studio dei testi sacri costituiscano il percorso giusto per liberarsi, in realtà cadrà nella pena della rinascita, mentre chi si consacra alla meditazione (ascesi) e abbandona aspirazioni, desideri e qualunque tipo di passione, sarà premiato con il raggiungimento del sommo Brahman”.

    E si aggiunge che: “l’esercizio della consapevolezza nell’induismo richiama, sostanzialmente, l’esperienza interiore del concetto di “trascendente” guadagnata praticando la meditazione, l’elevazione interiore senza restare legati a rituali, dogmi, invocazioni, preghiere o convinzioni religiose, tutte pratiche che risultano essere caratteristiche di una fase tra le più arretrate sul percorso spirituale”.

    Attenzione, affermare questo significa non tenere conto di due forme di Yoga (unione tra Atman e Brahman)che stanno alla base dell’ induismo : il Karma Yoga, LO yoga della azioni, e il Bhakti Yoga, quello delle preghiere.
    Per l’ induismo, azioni e preghiere amorevoli sono due ottimi modi per connettere l’Atman al Brahman, poi e’ chiaro, su un piano piu’ alto e’ necessario distaccarsi anche da tutto cio’ che e’ “Sattva” altrimenti ci si lega al ruota del Samsara con le catene d’ oro ma indicare tutto cio’ che e’ virtu’ come effimero in nome del distacco dal mondo terreno attraverso la rinuncia a qualsiasi tipo di passione, aspirazione o desiderio potrebbe essere incomprensibile, fuorviante o pericoloso, a seconda dei casi, per qualsiasi persona che intende avvicinarsi ad un percorso spirituale.
    Non a caso l’ induismo non parla di questo.

    Buona Giornata

    Buona Giornata.

    • Conscious Journeys Reply at 14:54

      Grazie di cuore per le preziose precisazioni, che sicuramente contribuiranno ad ampliare quanto già espresso nell’articolo, il quale non ha ovviamente la pretesa di trattare un argomento tanto complesso in tutti i suoi numerosi dettagli.

  2. manlio cornia Reply at 20:21

    Molto, molto interessante! e chiaro…

  3. Giuseppe Pappalardo Reply at 18:27

    Riallacciandomi a quanto espresso da Andrea, consiglierei la lettura del brano “Il Vedanta e il Creato” che si trova nel libro “Dal cuore di Amma” Sottotitolo “Conversazioni con Sri Mata Amritanandamyi Devi.
    Purtroppo non è possibile inviare allegati sennò vi avrei inviato il brano.

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